Il Corpo Malato e Disturbi di Personalità

IL CUORE MALATO: LA TMI IN CONTESTO CARDIOLOGICO RIABILITATIVO

La letteratura parla chiaro: le cardiopatie, nell’accezione ampia del termine, sono correlate a importante distress emotivo che si presenta principalmente come ansia, tristezza e sintomi post-traumatici; da queste reazioni emotive all’evento cardiaco possono derivare comportamenti disfunzionali per la salute generale, con implicazioni sullo stile e sulla qualità della vita. Il Protocollo Riabilitativo promosso dalla Regione Lombardia prevede, per le ragioni citate, la presenza di uno Psicologo Clinico all’interno dei reparti, ed è questo il motivo per cui esisto io, Chiara Polizzi, Psicoterapeuta di formazione TMI, all’interno dell’Unità Operativa di Cardiologia Riabilitativa dell’Ospedale San Giuseppe a Milano. Nel contesto ospedaliero il mio compito è principalmente quello di esplorare e regolare le risposte emotive post-evento.  In un reparto ospedaliero il corpo è protagonista assoluto. E se si è ricoverati, il corpo si è ammalato. La condizione patologica non è semplice da accettare, a maggior ragione se riguarda il motore centrale della macchina; figuriamoci poi se il cuore malato batte nel petto di un uomo che soffre di un Disturbo di Personalità. Quando questo accade rischiano di essere seriamente compromessi gli obiettivi clinici e riabilitativi.

È a questo livello che intervengo io, ed è per queste ragioni che ho conosciuto Andrea.
Andrea ha 52 anni. Clinicamente la storia è drammatica: qualche mese prima era stato trattato con angioplastica a seguito di un infarto; ritenuto stabile e compensato era stato dimesso senza indicazione alla Riabilitazione Cardiologica. Un paio di settimane prima che lo conoscessi, mentre era a riposo in casa, il suo cuore si è fermato: arresto cardiocircolatorio dal quale si è salvato grazie all’intervento del vicino di casa che ha praticato un massaggio cardiaco fino all’arrivo dell’ambulanza. Impiantato in urgenza un defibrillatore, Andrea è stato stabilizzato e trasferito nel nostro reparto “quasi contro la sua volontà”, come avrà modo di dirmi durante il nostro primo incontro.

Capisco meglio cosa pensi e cosa si aspetti dal percorso riabilitativo appena lo incontro su segnalazione del cardiologo: è un uomo seducente, affabile, si rivolge agli Operatori Sanitari dando del “tu”, veste sportivo – la tuta è rigorosamente griffata – lasciando intendere che indossa l’abito di paziente per circostanza, non perché aderisca realmente al percorso di cure.
Accoglie chiunque entri in stanza come si trovasse nel salotto di casa sua, device elettronici sparsi qua e là (Apple è sovrana), musica di sottofondo che non spegne mai, neppure quando il medico lo guarda e gli fa notare che “l’ha rischiata grossa”. Affermazione alla quale peraltro Andrea replica con un sorriso di trionfo, come se fosse riuscito a fregare persino la morte. Certo, non proprio lui dato che, come ripete spesso, lui letteralmente non c’era, “Quindi come puoi essere spaventato da qualcosa che non hai vissuto, che non ricordi?”. Non fa una piega: Andrea era incosciente, dichiara dunque di non aver avuto percezione di niente, a eccezione del risveglio. Ne parla con un atteggiamento trionfante, come se attribuisse a se stesso (o a qualche qualità soggettiva) la sua sopravvivenza, trascurando il dettaglio che se non avesse ricevuto un massaggio cardiaco e non fossero intervenuti i soccorsi non sarebbe esattamente andata così…

Estratto da “Il Corpo malato e Disturbi di Personalità”.



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