Terapia Metacognitiva Interpersonale: concettualizzare il funzionamento nei Disturbi di Personalità

Terapia Metacognitiva Interpersonale: concettualizzare il funzionamento nei Disturbi di Personalità

Al di là del processo e nella tecnica, significativamente descritta in un manuale dedicato (Dimaggio, G., Montano, A., Popolo, R., Salvatore, G., 2013), colpisce come la concettualizzazione della problematica clinica in Terapia Metacognitiva Interpersonale per i Disturbi di Personalità attinga da correnti psicoterapeutiche diverse, tenendo insieme costrutti e obiettivi che provengono da scuole di pensiero che non comunicano tra loro con facilità.
Inevitabilmente, in questo impegnativo processo di integrazione, nasce un sistema, un linguaggio tipico del Modello: la rassegna è data da tutti quegli elementi che divengono markers di un terapeuta che parla la lingua TMI, volta a individuare gli aspetti di funzionamento del paziente con Disturbo di Personalità.

In prima battuta, lo “Schema Interpersonale”: Schema è ciò che, in forma implicita, ci guida e conferisce ordine al mondo permettendoci di fare previsioni, di rispondere repentinamente agli stimoli, conferisce una chiave di lettura intersoggettiva di ciò che ci accade, filtrando informazioni e interpretando la realtà.
La Schema Therapy (Young, J., Klosko, J.S., Weishaar, M.E., 2007) aveva proposto un costrutto vicino, il “mode”, attribuendogli un significato forse più rigido e con focus sul pezzo disfunzionale, che sviluppa e mantiene patologia.
Lo Schema in TMI è anche -ma non solo- questo; di per sé l’accezione non è connotata a priori, lo Schema è inteso come una modalità di risposta appresa (ça va sans dire!) che si automatizza nel tempo, e che può essere più o meno funzionale al raggiungimento dei propri obiettivi interpersonali (gli Schemi non sono patogeni per definizione!).
Per essere tali, tuttavia, gli Schemi devono comporsi di alcuni elementi costitutivi.

Primo fra tutti è il “Wish”: il desiderio attivo, lo scopo, la spinta motivazionale. Il costrutto può trovare un riferimento nella Teoria dei Sistemi Motivazionali (Liotti, G., 2001; 2005), ma a differenza degli approcci attenti all’attaccamento come principale sistema compromesso nei pazienti, la TMI chiama in causa tutti i sistemi della psicologia evoluzionistica: attaccamento, accudimento, rango, appartenenza al gruppo/inclusione, gioco simbolico, sessualità, esplorazione. 
“Qual è il ‘Wish’, il desiderio espresso o frustrato nel paziente? E a quale sistema motivazionale afferisce?” diventano le domande che guidano la concettualizzazione TMI in colloquio.
Il clinico cerca dunque di rintracciare gli altri elementi tipici dello Schema: il ragionamento (o procedura) Se….Allora, la Risposta dell’Altro, la Risposta del Sé alla Risposta dell’Altro e l’Immagine di Sé sottostante.

La Procedura Se…Allora riguarda il ragionamento sul proprio comportamento (“Se dimostro il mio valore…”) e sulla conseguenza della risposta dell’Altro/Mondo sul Sè, conseguenza che può essere coerente con il raggiungimento dello scopo (“…verrò apprezzato”) o disfunzionale alla realizzazione del bisogno (“…verrò criticato”). Questa regola (warning: non è coping!) è totalmente implicita nel paziente, recuperarla e condividerla con lui è la parte più complessa della ricostruzione dello Schema.

La Risposta dell’Altro è più semplice da individuare: è la modalità con la quale leggiamo e interpretiamo le reazioni di chi è in interazione con noi; non comprende esclusivamente il comportamento agito, ma è come il paziente descrive l’Altro in un antecedente della dinamica interpersonale; la Risposta del Sé alla Risposta dell’Altro può essere indagata tramite una tecnica tipica dell’approccio cognitivo, l’ABC: si compone infatti dall’insieme di pensieri, emozioni, stati somatici e comportamenti del paziente in reazione alla risposta dell’Altro, un altro tassello del ciclo interpersonale che, nei Disturbi di Personalità, risulta problematico.

L’Immagine di Sé sottostante è l’insieme di attribuzioni, generalmente pessimistiche e negative, che il paziente fa su di sé; è l’elemento portante dello Schema, ideazione che lo sostiene. In TMI, tuttavia, lo sguardo clinico non è rivolto solo all’Immagine di Sé che si costruisce negativamente: il Modello è attento a rintracciare anche le Parti Sane riferite dal paziente, ovvero l’insieme di cognizioni di sé buone, funzionali, oppure in antitesi allo Schema disadattivo, in lotta contro di esso.

Ma quando uno Schema è tale? Quando si può procedere con una concettualizzazione condivisa e attendibile? Per rispondere a queste domande, il terapeuta TMI deve appellarsi al principio della non interpretazione: il modello prevede difatti la richiesta di esempi concreti, si deve poter ritrovare lo Schema Interpersonale nell’esperienza diretta del paziente indagando dati sensoriali, pensieri e, naturalmente, emozioni; è il recupero della memoria autobiografica a partire dalla vita-vissuta del paziente, mediata dai filtri dello Schema: eccolo lì, che si ripete, episodio dopo episodio, esempio dopo esempio. Solo quando si ottengono informazioni ridondanti e coerenti tra loro si può formulare lo Schema per poi restituirlo in maniera condivisa.

L’attivazione dello Schema si traduce anche nel corpo e a livello emotivo; si evidenzia un punto saldo del Modello, legato al processo di cura e cambiamento: perché questo avvenga in maniera determinante è bene che sia promosso un intervento bottom-up, che parta dall’esperienza sensoriale/pragmatica/emotiva e favorisca poi la ristrutturazione cognitiva. Tralasciando l’interessante querelle sul tema, questo principio è sostenuto da numerosi approcci, quali l’EMDR (Shapiro, F., 1989) la Sensory Motor (Fisher & Ogden, 2009; Ogden & Minton, 2000; Ogden, Minton & Pain, 2006), la Mindfulness (Kabat-Zinn J., Segal, Z.V., Williams, M., 2010).
C’è ben altro da dire: c’è la metacognizione e il concetto di “deficit” sostituito da quello di “malfunzionamento”, c’è l’esperienza in terapia con l’immaginazione guidata e il rescripting, c’è la grande attenzione alla relazione e all’alleanza terapeutica, fil rouge di numerosi modelli di intervento. Senza addentrarsi nella tecnica, è evidente come la TMI sia un punto di contatto tra la tradizione psicoterapeutica e le ondate più recenti, ponendosi con un atteggiamento di apertura e inclusione nei confronti delle più varie formazioni psicologiche, strutturando una concettualizzazione clinica motivata dalla ricerca della chiave di lettura del funzionamento interpersonale e metacognitivo del paziente.